l’Integrazione Scolastica dei Minori Autistici (Progetto Prisma)

Progetto per l’Integrazione Scolastica dei Minori Autistici.

 

Si tratta di un documento molto importante, qui per motivi legati al mezzo e allo spazio ho inserito  comunque solo alcune parti , quelle che secondo me sono più significative per i docenti. Chi vuole leggerlo tutto (lo raccomando) può scaricarlo nell’apposito link qui sotto.

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Un ringraziamento al Prof. Gianfranco Vitale e all’ANGSA Piemonte
Renato

Questo testo è stato redatto dal Prof. Gianfranco Vitale, che, nella sua veste di insegnante in un istituto superiore, genitore e socio dell’ANGSA Piemonte, si propone di offrire uno strumento di supporto alla scuola e di utilità per l’allievo autistico.

L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA

Le situazioni connesse all’autismo sono molteplici e vanno affrontate, di volta in volta, come dinamiche differenti, in un’ottica di specificità. E’ giusto attendersi risposte complesse da problematiche composite, quali certamente sono quelle che appartengono alla suddetta patologia.

Consapevoli di questo si tratta di comprendere che programmare l’integrazione richiede la definizione di un contesto in cui tutti divengano interpreti, in una dimensione sinergica, di uno stesso progetto. Ciascuno è chiamato ad impegnarsi, per quanto gli compete, all’interno del proprio ruolo, in una connessione stretta e continua con gli altri soggetti, allo scopo di portare avanti un lavoro comune, evitando sovrapposizioni e interferenze che possono rivelarsi inutili e persino dannose.

Le Linee Guida Nazionali della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (SINPIA) sottolineano la necessità di definire in modo dettagliato e in anticipo: a) i contenuti dell’intervento, che deve comprendere attività individualizzate costruite sulla base della valutazione del bambino ; b) le modalità di strutturazione dell’ambiente, in quanto la collaborazione da parte del bambino e la sua possibilità di apprendere dipende in modo sostanziale da come le attività, il tempo e lo spazio vengono strutturate visivamente.

A queste condizioni, e solo a queste, “integrazione” vuol dire facilitare la socializzazione, creare esperienze significative, ampliare le capacità comunicative, favorire l’autonomia personale e l’autostima. Pur all’interno di un contesto che prevede una quotidianità di incontro e confronto con i coetanei, il programma individuale dovrà essere calibrato sui bisogni del bambino con autismo nelle diverse età: in particolare, il programma dovrà essere centrato. a) in età più precoce, allo sviluppo della capacità di attenzione, di comunicazione (verbale e non verbale), di utilizzo di simboli e di modulazione degli stati emotivi; b) nelle età successive, al miglioramento dell’interazione sociale, all’arricchimento della comunicazione funzionale ed alla diversificazione degli interessi ed attività ( SINPIA 2005)

L’inserimento di allievi autistici nelle classi non costituisce un’opportunità di per sé sufficiente a promuovere il conseguimento di competenze sociali e comunicative o a favorire lo sviluppo cognitivo ed emozionale, qualora non sia sostenuto da un progetto educativo individuale adeguato.

La presenza dell’alunno con autismo va visto come una risorse per l’intero percorso educativo rivolto alla classe, in quanto “amplia i modi percettivi, le modalità di visione , gli angoli da cui partire” e “ sul piano cognitivo questa presenza giova nella misura in cui un’intuizione diventa, o può diventare, una soluzione “ ( V. Piazza 1999)[1] .


 METODOLOGIE

Come evidenziato dal Professor Lucio Cottini, attraverso l’attenta analisi della quale è autore, ai fini della promozione di una reale e proficua integrazione scolastica è opportuno prendere in considerazione: [2]

  1. a.    gli obiettivi individualizzati rapportati a quelli della classe;
  2. b.    la risorsa compagni;
  3. c.    le nuove prospettive della didattica speciale.

 

  1. a.   Obiettivi individualizzati e obiettivi della classe 

La possibilità di trascorrere parte del tempo in classe, svolgendo attività simili a quelle dei compagni, risulta facilitata se si riescono ad adattare, o quanto meno avvicinare, nei casi più difficili, gli obiettivi individualizzati a quelli curricolari.

Per il soggetto autistico tutto ciò rappresenta un importante obiettivo relazionale, anche se egli utilizza parte del suo tempo in attività individuali e ripetitive. Strutturare la capacità di rimanere in ambienti poco prevedibili, mantenendo un comportamento non destabilizzante è, infatti, una meta educativa di notevole rilevanza.

Può anche succedere che alcune attività svolte dalla classe siano ritenute non adatte al livello dell’allievo. E’ opinione largamente, diffusa da parte degli studiosi, che anche in questo caso sia comunque opportuno farlo “partecipare alla cultura del compito”, per far sì che si senta parte integrante della classe e sia motivato nell’esecuzione dei compiti che lo vedono maggiormente protagonista (pensiamo, per esempio, alla partecipazione all’organizzazione del giornalino di classe, in cui svolgerà alcune mansioni semplici e assisterà al lavoro dei compagni, traendone indubbio vantaggio, su altre più complesse).

Altri obiettivi, molto specifici e funzionali (in quanto mirati all’acquisizione di abilità che faciliteranno lo svolgimento di attività integrate), fanno parte – invece – della programmazione più personalizzata, che prevede che alcune attività differenziate siano svolte all’interno del contesto integrato (di conseguenza occorre prevedere spazi per la lettura individuale, per il lavoro di videoscrittura o di ricerca al computer, per i lavori manuali, ecc.) e altre all’esterno della classe.

In tali casi è importante considerare la possibilità di un insegnamento uno ad uno ma i momenti di uscita dovrebbero essere temporalmente limitati (di norma non superiori alle 10-12 ore settimanali) e programmati in modo che possano ridursi con il progredire dell’azione educativa e dell’adattamento dell’alunno.

Lo spazio per l’attività individuale dovrebbe essere preferibilmente organizzato secondo i principi dell’insegnamento strutturato, propri dell’approccio TEACCH, i cui connotati, ampiamente condivisi dalla stessa O. M. S., devono essere fatti propri dalla rete istituzionale e sanitaria che si crea sul territorio. Si realizza, così, una presa in carico globale dei soggetti con autismo attraverso una risposta univoca che coinvolge i vari servizi. Com’è naturale tutto ciò non esclude ulteriori aperture e/o approfondimenti scientificamente validati, che l’evoluzione della pedagogia potrà offrire in futuro.

  1. b.   La risorsa compagni

I compagni di classe possono attivare sequenze di interazione in grado di facilitare fortemente la crescita sociale dell’allievo autistico.

E’ evidente che questo ruolo, che possono svolgere i coetanei, è soprattutto potenziale. Si rende pertanto necessario un loro coinvolgimento attivo, attraverso la sensibilizzazione nei confronti di tematiche, che per la loro complessità, devono essere affrontate con modalità e strumenti adeguati se si vogliono “capire” le problematiche di chi si comporta diversamente dal resto della classe. Le caratteristiche comportamentali e cognitive dell’autistico rendono molto complesso l’instaurarsi di rapporti interattivi di spessore significativo. In generale si possono, comunque, individuare una serie di accorgimenti atti a facilitare forme di aiuto e sostegno da parte dei compagni:

–          indicare abilità facilitanti la relazione;

–          programmare situazioni di tutoring;

–          lavorare alla creazione di un clima non competitivo per attivare esperienze di apprendimento comune.

  1. c.   Nuove prospettive della didattica speciale

Per una didattica che vuol “farsi” speciale, allo scopo di soddisfare il più efficacemente possibile i particolari bisogni dei soggetti autistici, è indispensabile: 1) promuovere in classe la conoscenza dell’handicap e dei deficit correlati; 2) avvalersi delle nuove tecnologie informatiche; 3) utilizzare le metodologie educative e didattiche messe a punto specificamente per i bambini con autismo.

        Promuovere la conoscenza dei deficit e dell’handicap in classe

Come già sottolineato, nel momento in cui viene stimolata una conoscenza adeguata ed una valorizzazione dei compagni è più facile che si attivino azioni di aiuto e sostegno.

Soprattutto con il soggetto autistico questo aspetto riveste un’importanza determinante, in quanto è necessario che i compagni capiscano che alcune particolarità comportamentali, quali le scarse relazioni sociali o eventuali atteggiamenti aggressivi, non sono dovuti a “cattiveria” o a volontà di offendere, ma rappresentano le conseguenze di un deficit.

Per approfondirne la conoscenza si possono utilizzare approcci diversi: da semplici spiegazioni degli aspetti principali della sindrome, alla visione di trasmissioni televisive sull’argomento o di film che hanno presentato mirabilmente storie riferite a persone autistiche, alla lettura e commento di biografie di autistici di alto livello, fino allo studio scientifico delle conoscenze ad oggi disponibili dell’autismo. Le stesse testimonianze di genitori di ragazzi affetti d’autismo, raccolte verbalmente o attraverso la scrittura di libri, possono utilmente elevare i livelli di conoscenza di ognuno.

        L’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche

L’utilizzo del computer nella didattica sta assumendo un rilievo considerevole nella scuola italiana, anche se non sempre al proliferare dell’hardware si associano software adeguati alle esigenze più specifiche.

Anche per l’allievo autistico l’informatica può costituire un’opportunità interessante, in grado di avvicinarlo alle attività svolte dal resto della classe. Si nota molto spesso che gli allievi sono motivati all’interazione con il computer, il quale permette di focalizzare l’attenzione per tempi prolungati su alcuni compiti facilitando la gestione di esercitazioni in maniera autonoma. E’ sicuramente necessario fare riferimento a tecniche e software particolari in relazione agli obiettivi che vengono perseguiti, tenuto conto che la più importante priorità rimane quella di favorire lo sviluppo della dimensione cognitiva, come condizione fondamentale per aumentare le capacità comunicative ed immaginative.

 

Utilizzare le metodologie educative e didattiche messe a punto specificamente per i bambini     con autismo.

La conoscenza delle metodologie educative e didattiche validate dalla ricerca internazionale è indispensabile per la messa a punto e la realizzazione di un programma educativo individualizzato. In particolare, è auspicabile che tutti gli insegnanti che hanno alunni con autismo conoscano: a) le metodologie educative e didattiche utilizzate all’interno del Programma TEACCH; b) le strategie di Comunicazione Aumentativa e Alternativa applicata all’autismo; c) le tecniche di valutazione e intervento per la gestione dei problemi di comportamento. Di queste strategie si parlerà nel prossimo capitolo.

 


PRINCIPALI STRATEGIE DI INTERVENTO EDUCATIVO

  • IL PROGRAMMA TEACCH

L’adattamento dell’ambiente e delle attività alle esigenze del soggetto autistico consente di costruire un contesto molto strutturato, nel quale i punti di riferimento diventano visibili, concreti, prevedibili e accessibili.

L’organizzazione dell’ambiente fisico proposto dal TEACCH non è chiaramente replicabile in maniera completa a livello di scuola comune. Alcuni accorgimenti possono comunque essere adottati, soprattutto se si verifica che gli stessi tendono a tranquillizzare il ragazzo autistico e a consentirgli una presenza maggiormente adattata all’interno della propria classe.

Potrebbe, ad esempio, essere delimitato con del nastro adesivo uno spazio dove viene collocato il banco dell’allievo, con vicino un armadietto o degli scaffali dove possa reperire i materiali necessari all’attività didattica. Lo stesso spazio può essere ampliato per coinvolgere altri banchi quando viene prevista un’attività per piccoli gruppi. Gli spazi utilizzati per attività particolari – come la palestra, l’aula di musica, il laboratorio, ecc. – dovrebbero essere chiaramente indicati, in modo che il soggetto possa familiarizzare con una disposizione che assume contorni meno caotici e, conseguentemente, più rassicuranti. Con il passare del tempo ed il progredire dell’adattamento del bambino, questi accorgimenti potrebbero risultare non più necessari, per cui andranno progressivamente eliminati per conferire all’organizzazione una conformazione il più normale possibile.

Gli schemi visivi indicano all’allievo le attività da effettuare e la sequenza delle stesse, aiutandolo ad anticipare e prevedere i vari compiti. Sono generalizzabili anche a livello scolastico, per aiutarlo a capire lo svolgersi della giornata e l’alternarsi di momenti di lavoro (individuale o di gruppo) a momenti di gioco. La scelta dell’aiuto visivo più appropriato (oggetti concreti, fotografie, disegni, pittogrammi, parole scritte) dovrà essere basata sulla valutazione delle capacità di comprensione del bambino.

I sistemi di lavoro e la precisa organizzazione dei compiti e del materiale forniscono agli allievi autistici le informazioni sulla tipologia di compito da portare a termine e sulle modalità d’esecuzione. Nell’esperienza di integrazione scolastica una parte consistente del tempo del soggetto dovrebbe essere dedicata ad esercitazioni simili a quelle svolte dai compagni. In questo modo, anche se l’allievo autistico potrebbe insistere a svolgere le proprie attività in maniera autonoma e apparentemente non integrata con il resto della classe, tenderà comunque a strutturare un senso di appartenenza alla comunità.

La precisa organizzazione dei compiti prevista dal programma TEACCH può essere utile anche per fornire occasione di esercitazioni autonome e ripetitive all’allievo, le quali, anche quando non determinano risultati importanti in chiave di apprendimento, possono risultare utili per l’aumento dei tempi di permanenza in classe.


  • LA COMUNICAZIONE AUMENTATIVA E ALTERNATIVA

Può essere giusto ricorrere alla CAA quando un bambino non riesce a sviluppare il linguaggio verbale o quando esso non sia sufficiente a permettergli la comunicazione con gli altri, sia perché povero di vocaboli, sia perché incomprensibile per chi non lo frequenta abitualmente. L’aggettivo Alternativa sta ad indicare il ricorso a modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. L’aggettivo Aumentativa sta ad indicare come le modalità di comunicazione utilizzate siano tese non a sostituire ma ad accrescere la comunicazione naturale.

Attualmente si preferisce utilizzare il termine Comunicazione Aumentativa, in quanto consente di pensare alle strategie, alle tecniche e agli ausili come possibilità di fornire qualcosa di aggiuntivo ad abilità comunicative di cui la persona è già in possesso (gesti, vocalizzi, sguardo, ecc.). Lo scopo di questo tipo di comunicazione è di compensare le carenze comunicative al fine di fornire dei mezzi espressivi adatti a manifestare adeguatamente i propri bisogni. Va da sé che non ci sono delle soluzioni precostituite e che queste saranno diverse, e quindi personalizzate, a seconda dell’età della persona, del suo sviluppo relazionale e cognitivo, della sua motivazione all’apprendere un nuovo modo di comunicare, dell’ambiente in cui vive, ecc. Gli strumenti forniti devono essere non solo idonei ma anche flessibili, in quanto dovranno adattarsi all’evolversi delle abilità del soggetto autistico. È importante soprattutto aiutare l’alunno autistico a sviluppare e potenziare le proprie abilità residue insegnandogli le strategie adatte, per permettergli di usare il più autonomamente possibile i vari simboli e ausili a disposizione. Infatti, uno dei principali strumenti di Comunicazione Aumentativa sono proprio i sistemi simbolici grafici che danno la possibilità di esprimersi attraverso dei segni grafici alle persone che sono impossibilitate a produrre simboli, ma sono in grado di selezionarli.

Le strategie di CAA maggiormente validate dalla ricerca sono quelle che prevedono l’utilizzo dei segni manuali e di immagini come foto, disegni e pittogrammi: in particolare sono stati utilizzati in numerose esperienze i simboli PCS (Picture Communication Symbols di Meyer-Johnson) anche attraverso la metodologia dei PECS (Picture Ecxange Communication Symbols di Bondy & Frost). Una metodologia validata per far fronte ai problemi di comportamento è quella nota come Comunicazione funzionale (FCT, Functional Communication Training)[3]

Ad integrazione delle tabelle di comunicazione si possono usare anche degli ausili di comunicazione con uscita di voce denominati VOCAS (Vocal Output Communication Aids), i quali possono essere costituiti da uno o più pulsanti. La loro pressione provoca l’ascolto di un messaggio preregistrato. I messaggi che possono essere programmati sono però in numero definito e quindi limitano la comunicazione. I programmi software che riproducono le tabelle di comunicazione, invece, non hanno nessun limite numerico di messaggi e l’accesso può avvenire con tastiera, dispositivi di puntamento, sensori. Le tecniche di Comunicazione Aumentativa Alternativa descritte non possono certamente sostituire la praticità, la velocità, la precisione del linguaggio orale ma offrono la possibilità alle persone autistiche con disabilità verbali di poter finalmente comunicare.

 

  • ANALISI FUNZIONALE E PROBLEMI DI COMPORTAMENTO

 

I bambini con autismo possono presentare diversi problemi di comportamento: oppositività al lavoro proposto, crisi di collera, aggressività, autolesionismo mancato rispetto delle regole della classe, comportamento distruttivo, rituali che disturbano il lavoro degli altri compagni, e altri ancora.

La maggior parte dei problemi di comportamento sono determinati da: a) problemi di tolleranza sensoriale a determinati stimoli ambientali (rumore, confusione, luminosità, calore); b) proposte didattiche non adeguate alle caratteristiche del bambino (troppo complesse o, in una minoranza di casi, troppo semplici); c) problemi di comunicazione, sia nel senso di mancata comprensione di ciò che gli altri dicono, sia nel senso di difficoltà per il bambino ad esprimersi.

Solitamente è difficile intervenire dopo che il problema si è manifestato, mentre è più efficace prevenire questi problemi strutturando l’ambiente e valutando in modo preciso le occasioni in cui intervengono. “Una struttura che, partendo dalle abilità, dia visivamente certezza, prevedibilità, sicurezza, dà una risposta “educativa” ai comportamenti problema […]”[4]. (E. Micheli 2003).

I problemi di comportamento richiedono una valutazione che consenta di fare una ipotesi su cosa lo ha determinato. A questo scopo è utile fare riferimento alla tecnica dell’ analisi funzionale messa a punto in ambito comportamentale[5]. Inoltre, una valutazione specifica del livello di comprensione del linguaggio (che è scarsa nella maggior parte dei casi) rappresenta un’azione indispensabile per la prevenzione dei comportamenti problema e, più in generale, per tutto l’intervento.

 

 

LINEE GUIDA FONDAMENTALI 

Uno degli obiettivi del Progetto coordinato in Rete, che si fonda su un percorso di cura individualizzato e su un programma psicoeducativo condiviso tra Famiglia, Scuola e Servizi, è quello di favorire la generalizzazione di abilità e competenze rilevate nella Valutazione Funzionale iniziale (che dovrebbe prevedere l’uso di strumenti specifici come le scale Vineland, il PEP-r e l’AAPEP).

Tale Valutazione Funzionale, che dovrà essere periodicamente aggiornata, ha lo scopo di:

 a) “differenziare”, mettendo in luce le aree di potenzialità, i diversi soggetti che rientrano nell’inquadramento diagnostico dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo;

b)  “orientare” l’intervento individualizzato;

c)  “suggerire” modalità e tecniche specifiche di intervento;

d)  “valutare” l’esito degli interventi.

Il lavoro terapeutico orientato allo sviluppo ed alla acquisizione di nuove competenze in setting strutturati presso i Servizi (SINPIA 2005) necessita, pertanto, per una garanzia di continuità e qualità nel tempo, della coordinazione operativa con la Famiglia e la Scuola, fondamentali ambienti naturali di crescita, educazione e sviluppo del bambino/a, e si deve fondare su obiettivi “funzionali” (comunicazione, abilità relazionali e sociali, autonomie) condivisi, verificati ed aggiornati nel tempo, atti a favorire un adattamento all’ambiente il più adeguato possibile del soggetto, secondo parametri di salute e benessere individuale (ICF)[6].

Tale attività di coordinazione operativa deve però mantenere stabilmente nel tempo il proprio riferimento al concetto iniziale di “valutazione”, basandosi su indicatori precisi su cui “misurare” la qualità e su cui fare una buona ricerca scientifica nel contesto di una raccolta sistematica delle documentazioni sulle esperienze e sulle buone prassi (D. Ianes, 1999)[7].

Il riconoscimento dell’appropriatezza, dell’efficienza e soprattutto dell’ efficacia degli interventi realizzati si dovrà infatti sempre più fondare su confronti di risultati conseguiti in termini di adattamento sociale e di vita qualitativa dei soggetti autistici, dando sempre più spazio ai giudizi delle famiglie ( G. M. Arduino 2005, L. Cottini 2005) [8],[9].

Quindi non si può che convenire in modo pieno e convinto con l’articolata riflessione di Patrizia e Tiziano Gabrielli quando sostengono che l’intervento educativo nella scuola dovrebbe favorire, in particolare: [10]

  • l’acquisizione di un linguaggio (in qualunque forma possibile, privilegiando quello verbale, non verbale, corporeo, scritto ecc.);
    • lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente;
    • la promozione di competenze strumentali di base;
    • la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe;
    • l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.

Il successo di questo intervento è sicuramente facilitato da un inserimento educativo precoce alla scolarizzazione da parte del bambino autistico, nonché dalla competenza di tutti gli operatori coinvolti, che devono essere persone preparate e motivate sotto il profilo relazionale, della conoscenza della patologia e delle strategie pedagogiche ed educative ad essa applicabili. Ciò consente di poter supportare anche i casi più “severi”, caratterizzati dalla presenza di comportamenti disturbanti come, ad esempio, aggressioni e autolesionismo. In tal modo la scuola, gli insegnanti e i compagni, saranno in grado di accogliere con maggior serenità, e in modo propositivo, “l’amico speciale”.

Mancando di opportune conoscenze esiste, viceversa, il rischio che l’operatore finisca frequentemente per trasformarsi in una sorta di pseudoterapista, che ripropone a scuola modelli di lavoro emarginanti, tali – in ogni caso – da non permettere di cogliere tutte le potenzialità che possono derivare dalla “costruzione” di un contesto integrato.

Condizioni pregiudiziali al raggiungimento dell’obiettivo della piena integrazione scolastica sono, in particolare:

  1. 1.   disponibilità affettiva e comunicativa degli insegnanti, di cui è necessario assumano personale e piena responsabilità;
  2. 2.   fiducia nell’ottenimento degli obiettivi che debbono essere quanto più possibile concreti;
  3. 3.   coinvolgimento di genitori e familiari, che devono realizzare una continuità di obiettivi e strategie anche in casa. E’ necessario partecipare, come genitori, alla stesura del progetto educativo‑pedagogico dei figli, un progetto individualizzato realistico e condiviso. Anche l’insegnamento dovrà essere condiviso (perfino formulato insieme ai genitori), esplicito, flessibile, utile nel metodo e nei tempi.
  4. 4.   lavoro di rete, di coordinamento e di integrazione degli interventi. L’ottica essenziale è quella delle sinergie tra dimensione clinica, familiare e organizzazione interna della scuola.

I mondi della ricerca clinica e pedagogica e della prassi didattica non possono più essere separati. Occorre definire un rapporto stretto e sinergico tra le conoscenze in campo scientifico. in campo medico e psico‑pedagogico e quanto si sperimenta giornalmente all’interno delle aule scolastiche, in modo da superare possibili separatezze.

 

 

DAL SOSTEGNO AI SOSTEGNI 

Il successo formativo che, come è stato detto, si rende possibile attraverso l’elaborazione di obiettivi semplici, limitati, graduali, progressivi, tramite tentativi e aggiustamenti continui degli apprendimenti, rende ormai urgente il passaggio ad una visione più allargata rispetto a quanto è avvenuto finora, nella consapevolezza che l’obiettivo comune si realizza con lo sforzo di tutti.

Diventa fondamentale il passaggio concettuale che sostituisca l’insegnante di sostegno con i “sostegni”, intesi come insieme di strumenti, operatori, energie, risorse. Coordinati, legati a precise situazioni contestuali, ai vari operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà specifica scolastica e sociale in cui si intende realizzare l’integrazione di questi allievi.

Alle citate condizioni sono sostegni non solo la comunità, il gruppo sociale e scolastico, il gruppo classe, il tutoring ma anche la documentazione, l’organizzazione degli spazi e i corsi di formazione; gli incontri tra operatori coinvolti, tra questi e i medici, con i genitori. Sono un sostegno le valutazioni collettive periodiche ecc.

Insomma i sostegni sono tanti e chiamano in causa anche altre realtà. Richiedono l’apporto congiunto e sinergico di diversi contributi, sia da parte delle strutture dell’Amministrazione centrale e periferica, che da parte di organi rappresentativi, livelli istituzionali (Ministero della Salute, Ministero del lavoro, Ministero delle Tecnologie), enti locali, associazioni operanti nel settore dell’integrazione delle persone con disabilità, ecc.

 

 

CONSIDERAZIONI

Come si sottolineava all’inizio di questa trattazione sono innegabili i progressi compiuti nell’ambito dell’integrazione scolastica delle persone disabili, il che non significa che tutto sia risolto. Anzi.

Alcune gravi carenze sono rimaste nel sistema e si avvertono pesantemente. Il Professor Danilo Massi, al riguardo, nel capitolo “Integrazione scolastica: non basta sedersi tra i banchi[11] pone l’accento sul fatto che non può esserci una vera integrazione dell’alunno disabile quando essa “diventa uno sterile conflitto tra insegnanti per la ripartizione percentuale delle ore relative alla sua presenza; quando la collaborazione tra operatori si limita alla burocratica compilazione del PDF (Profilo dinamico funzionale); quando “il Gruppo H” d’istituto c’è soltanto perché è stato deliberato dal Collegio Docenti; quando i progetti si fanno per utilizzare le risorse economiche e non viceversa, […]”.

Al 31/12/2001 gli insegnanti di sostegno nella scuola statale erano in totale 71.194, dei quali 22.908 a tempo determinato. Va rimarcata la mancata specializzazione di quasi il 40% di loro ma anche la mancata formazione programmata e generalizzata degli insegnanti curricolari, che favorisce la delega pressoché totale al solo insegnante di sostegno.

La presenza di questi ultimi è caratterizzata, poi, da precarietà e costante turn-over, con conseguente necessità continua di reclutamento, provvisorietà, discontinuità didattica e difficoltà nella crescita di competenze professionali. E’ tempo di dire basta a questo deprecabile andazzo. Ma occorre anche:

Ridefinire il ruolo professionale del docente di sostegno e pensare a una sua utilizzazione più funzionale, attraverso almeno 200 ore di formazione specialistica, commisurate alla tipologia di handicap, da aggiungere alle attuali 400 ore di attività formative di base necessarie per conseguire la specializzazione nel sostegno;

Inserire nella formazione iniziale degli insegnanti curriculari un certo numero di crediti formativi nell’ambito della pedagogia e della didattica speciale. Questo porta a comprendere meglio:

  • che ogni persona disabile ha una sua storia;
  • che ha cause e condizionamenti specifici.
  • che proprio per questo l’integrazione non può mai essere indifferenziata né generica, giacché le condizioni di disabilità non sono indifferenziate;
  • che cosa significa individualizzazione e personalizzazione degli interventi;
  • che essi hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale, cosi come recita l’art. 38 della Costituzione italiana;
  • che questi ragazzi sono cittadini alla pari, ai quali per diritto devono essere garantite le pari opportunità;

Prevedere un aggiornamento continuo e sistematico di tutti gli insegnanti, sulle tematiche della pedagogia speciale;

Realizzare corsi obbligatori di aggiornamento per dirigenti e ispettori tecnici, aventi per oggetto le problematiche di integrazione scolastica insite nei nuovi modelli educativi.

 

CONCLUSIONI

Emerge da queste pagine un forte bisogno di formazione. Non una formazione costosa ed elitaria ma sistematica, pubblica, e aperta a tutti.

E’ auspicabile che l’università si impegni a fornire formazione specialistica continua sull’handicap per i medici, per gli insegnanti, per i genitori. Gli enti locali devono attivarsi nella stessa direzione.

Si avverte il bisogno che gli obiettivi raggiunti siano continuamente spostati in avanti, si aprano a nuove sfide, utilizzando e coinvolgendo tutte le risorse integrate con la scuola, anche quelle di enti e istituzioni del privato-sociale con esperienze pluriennali e competenze specifiche nel settore.

Sottolineano I. Basso e R. Lucioni [12] che “riflettere oggi sull’autismo non è solo indagare sulle disabilità, bensì capire di essere di fronte ad una persona, perché anche la somma di tutte le disabilità non può essere considerata “perdita di personalità”. Se ci fermiamo a considerare il “mancante”, usiamo un criterio quantitativo, che appartiene al computo di oggetti ma che è assolutamente inaccettabile se riferito agli esseri umani. Solo attraverso criteri qualitativi, viceversa, è possibile distinguere tra salute e malattia. Abituarsi a vedere la sofferenza senza reagire, a guardare la miseria senza attivarsi per sconfiggerla non è meno autistico del comportamento di un bambino che presenta questa disabilità”.

Si tratta di creare, allora, le pari opportunità dei cittadini come condizione essenziale per lo sviluppo complessivo della società, che non può e non deve sprecare la ricchezza che ogni persona possiede e che può manifestare solo se vi è un ambiente favorevole alla sua espressione.

[…[ In questo consiste la sfida dell’integrazione, nel dimostrare l’educabilità di tutti, la possibilità di apprendere per tutti senza porre limiti in anticipo a nessuno… [G. Vitale]

 

 


[1] V. Piazza, Riflessioni sulla complessità dell’integrazione, in D. Ianes e M. Tortello, Handicap e risorse per l’integrazione, Ed. Erickson 1999

[2]  Lucio Cottini: “L’integrazione scolastica del bambino autistico”. Carocci, Roma.

 

[3] Una rassegna sugli studi di CAA applicata all’autismo si trova in Merenda (2001) e Arduino & Gonella (2005), in Autismo e Disturbi dello Sviluppo, n. 3, 2005. 

[4] E. Micheli, Caratteristiche dell’autismo e bisogno di organizzare la struttura, in T. Lomascolo, A. Vaccaro, S. Villa, Autismo: modelli applicativi nei servizi, Ed. Vannini 2003

[5] M. Foxx, Tecniche di base del metodo comportamentale, Erickson, Trento, 1986.

[6] ICF  International Classification of Functioning, Disability and Health – 2001 – OMS.

[7] D. Ianes, Strategie prioritarie per dare qualità all’integrazione scolastica,in D. Ianes e M. Tortello, Handicap e risorse per l’integrazione, Ed. Erickson 1999.

[8] G.M. Arduino (2005) , Valutazione degli esiti : uno studio attraverso il PEP-R , Autismo e Disturbi dello Sviluppo, vol.3,  n.1, pp.99-126.

[9] Lucio Cottini (2005), Il dentro e il fuori dell’integrazione. Ovvero la difficile presenza dell’allievo con autismo in classe, Autismo e Disturbi dello Sviluppo, vol.3, n.2, pp.151-169.

[10] Patrizia & Tiziano Gabrielli:  “La scuola e gli alunni con autismo”. Pp. 4 – 8. Informautismo, n° 9

 

[11] [11] Danilo Massi: “I bambini nel labirinto: la condizione di disabilità nell’infanzia”.  Bollettino ANGSA.

n°6‑2002/1‑2003  Pp. 21 – 27

 

[12] Ida Basso & Romeo Lucioni: “Autismo e inserimento scolastico”.